
La frattura del femore è un episodio gravemente invalidante e molto pericoloso a causa delle sue possibili complicazioni. Scopriamo in questo articolo quanti tipi di frattura del femore esistono e quali sono i mezzi a disposizione del chirurgo per rimetterci velocemente in piedi.
Il femore è l’osso più robusto dell’apparato scheletrico ma nonostante la sua solidità può spezzarsi a causa di urti violenti, cadute, traumi ad alta intensità oppure in relazione a patologie del metabolismo osseo che minano la sua integrità come l’osteoporosi e l’osteonecrosi.
Le fratture del femore sono molto pericolose in quanto possono causare complicazioni di vario genere, tra cui le più frequenti sono le infezioni, in particolare l’osteomielite, le emorragie interne, le embolie e le lesioni dei tessuti.
Il primo sintomo della rottura del femore è lo shock causato dal forte dolore. Contemporaneamente al dolore intenso si presentano impossibilità di movimento, gonfiore, ematomi ed ecchimosi.
In passato la frattura del femore veniva trattata con la classica gessatura ma l’immobilizzazione forzata tendeva a provocare un aggravamento delle condizioni generali del paziente. Oggi la frattura del femore viene sanata grazie ad un’operazione chirurgica che, a seconda del caso clinico, può prevedere vari mezzi di sintesi.1
Tipologie di frattura del femore
Le fratture del femore vengono classificate in base a diversi parametri. Come per tutte le fratture, anche in questo caso viene fatta una suddivisione che tiene conto della quantità di frammenti ossei generati e dalla posizione dei monconi:
- fratture composte l’osso si divide in due o più frammenti che restano nella loro posizione anatomica;
- fratture scomposte i monconi non si trovano più nella posizione anatomica di origine e l’osso appare visibilmente deformato;
- fratture esposte sono quelle che hanno generato una lacerazione della cute, sono visibili e ad alto rischio d’infezione.
Il femore è l’osso più lungo del corpo umano e viene suddiviso anatomicamente in tre sezioni:
- epifisi prossimale: l’estremità ossea più vicina al busto, composta da testa e collo del femore e dal massiccio trocanterico;
- epifisi distale: l’estremità ossea più lontana al busto, che comprende il condilo laterale e condilo mediale;
- diafisi: la parte centrale dell’osso, la più lunga, chiamata corpo del femore.
A seconda del punto in cui il femore si spezza, le fratture vengono così classificate:
- fratture prossimali intracapsulari (coinvolgono la testa del femore, ovvero la sporgenza ossea che unita al bacino forma l’articolazione dell’anca);
- fratture prossimali sottocapitate (riguardano il collo del femore, la parte anatomica tra la testa e il massiccio trocanterico);
- fratture prossimali extracapsulari (fratture a carico del massiccio trocanterico);
- fratture diafisarie (rottura della parte centrale dell’osso, il corpo del femore);
- fratture distali (fratture a carico dei condili femorali, le sporgenze ossee che fanno parte dell’articolazione del ginocchio).
Nell’anziano la frattura più comune avviene nella parte prossimale come conseguenza di patologie degenerative (es. l’osteoporosi) ma non sono da escludere le fratture da stress, da traumi, anche a bassa intensità, o altre cause come tumori o infezioni che possono minare la robustezza dell’osso.
Come vengono trattate le fratture del femore
Le fratture del femore vengono ridotte per mezzo di un intervento chirurgico. Questa scelta offre al paziente una maggiore stabilità articolare, riduce i sintomi dolorosi e garantisce un miglior recupero funzionale.2
L’intervento si svolge secondo lo standard minimo raccomandato dalle Linee Guida Internazionali, al massimo entro le 24-48 ore dall’ingresso in ospedale.3
Per correggere le fratture prossimali e distali intracapsulari è necessario ricorrere alla sostituzione protesica. A seconda del danno a carico delle articolazioni del ginocchio o dell’anca il chirurgo ortopedico può scegliere di impiantare un’endoprotesi (parziale) o un’artroprotesi (totale). L’utilizzo delle protesi artificiali permette al paziente una rapida mobilizzazione e una notevole riduzione del dolore.4
Nel caso in cui la rottura sia a carico di compartimenti ossei non articolari lo specialista può ridurre la frattura grazie a chiodi endomidollari. Un’altra possibilità è quella di riempire la cavità con del cemento osseo o effettuare un trapianto osseo. Infine in caso di osteoporosi il chirurgo può ridurre la frattura con delle placche a stabilità angolare e delle viti.5
Tornare alla normalità
La frattura del femore può causare un forte shock emotivo ed è possibile che i pazienti rifiutino il percorso riabilitativo a causa di una sensazione di “pericolo” dettata dalla paura di cadere di nuovo. Per questo motivo oltre la corretta assistenza medica è giusto fornire ai pazienti anche un supporto psicologico che deve arrivare in primo luogo dalla famiglia e da personale specializzato.
Dopo l’intervento, il percorso riabilitativo inizia con la movimentazione e, a distanza di una settimana, è previsto l’utilizzo di stampelle. La fase iniziale prevede inoltre esercizi mirati al potenziamento muscolare per ripristinare la funzionalità articolare.
Soprattutto in pazienti anziani, oltre i 75 anni, è vitale tenere sotto controllo eventuali complicazioni come trombosi, flebiti, infezioni urinarie, insufficienze cardiache e respiratorie, che possono manifestarsi anche a distanza di 30 giorni dal ricovero.
Per questo è necessario studiare un percorso riabilitativo personalizzato che può prevedere una consulenza e un’assistenza domiciliare. In questo modo il paziente può affrontare la riabilitazione in completa sicurezza e ritrovare serenamente l’autonomia perduta.
Note
- Lancellotti, Giulia.”Il paziente anziano ricoverato nel reparto di ortopedia per frattura di femore: un’esperienza di ortogeriatria”, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, 2007-2008, pag. 18
- Michelagnoli, Giuliano. “Medicina perioperatoria nel paziente con frattura di femore: tecniche di anestesia e outcome”, Università degli studi di Firenze, 2013, pag. 4
- “Frattura del collo del femore nell’anziano: intervento chirurgico entro 48 ore”, Quotidiano Sanità
- Impagliazzo, A., Martinelli, N., Spurio Pompili G.F., Mattei A. “Il trattamento delle fratture distali del femore: placca LISS vs. chiodo retrogrado” GIOT, 2006; 32:36-32
- Osteoporosi e fratture – Prospettiva ortopedica”, International Osteoporosis Foundation, pag. 60-63