La malattia tromboembolica è una delle più comuni patologie vascolari e quando si presenta in modo acuto e repentino è potenzialmente fatale. Per questo motivo è importante conoscere quali sono le situazioni in cui si può manifestare.
Il tromboembolismo è una complicanza che può presentarsi per cause diverse come l’utilizzo di anticoncezionali o il tabagismo e in particolari condizioni come ad esempio un lungo periodo di immobilità, una gravidanza o dopo un intervento chirurgico.
Nei casi di intervento di protesi d’anca l’incidenza del tromboembolismo ha una percentuale variabile dal 47 al 57% mentre per le operazioni di artroprotesi al ginocchio il valore varia dal 40 al 84%.
II tromboembolismo può risolversi in modo spontaneo e senza particolari problemi ma può anche generare delle conseguenze per il paziente, alcune anche serie, come l’insufficienza venosa cronica o l’embolia polmonare e nelle manifestazioni repentine può perfino rivelarsi mortale.1
Pertanto una corretta prevenzione pre e postoperatoria è indispensabile per il trattamento dei pazienti ospedalizzati e in modo particolare per coloro che devono sottoporsi a un intervento chirurgico.2
Che cos’è la tromboembolia?
La malattia tromboembolica è una delle più comuni del sistema circolatorio e si caratterizza per l’occlusione di un vaso circolatorio. Il nome di questa patologia è composto da due parole che svelano il suo pericoloso meccanismo.
Letteralmente il termine trombo, come riportato nel Dizionario di Medicina edito da Treccani, indica “una massa solida costituita da globuli rossi, globuli bianchi, piastrine e fibrina che si forma nei vasi sanguigni in diverse condizioni patologiche”.3 Mentre il termine embolo significa “improvvisa occlusione di un vaso sanguigno determinata da corpi di varia natura”.4
Il tromboembolismo è una situazione patologica che può manifestarsi in qualsiasi distretto circolatorio. Questa malattia, in genere, colpisce con più frequenza gli arti inferiori e si caratterizza per la formazione di un coagulo di sangue all’interno della vena. Questo trombo che si è formato nella vena può crescere, diminuire o sfaldarsi.
Quando il trombo si sfalda è possibile che un frammento vada a finire in una delle principali arterie polmonari causando così un’embolia polmonare.5
Quali sono i sintomi della tromboembolia?
I sintomi variano a seconda della malattia tromboembolica e non sono semplici da riconoscere. Quando un frammento del trombo causa l’occlusione delle arterie polmonari questa patologia viene definita tromboembolia polmonare e si manifesta con sintomi polmonari e cardiaci come insufficienza respiratoria improvvisa, affanno, tachicardia, calo della pressione e anomalie del battito cardiaco.6
La tromboembolia venosa può verificarsi sia nelle vene superficiali (flebite) sia nelle vene profonde (tromboembolia venosa profonda). I sintomi della trombosi venosa sono crampi all’arto colpito associati a gonfiore e rossore.
I sintomi della tromboembolia venosa sono simili ad altre affezioni meno pericolose perciò avere una diagnosi tempestiva può risultare difficile. Da qui sorge l’importanza di fare prevenzione attraverso un’attenta valutazione dei fattori di rischio e degli esami specifici.
I fattori di rischio
Le conseguenze della trombosi venosa profonda associate alla sintomatologia cardio-polmonare sono potenzialmente fatali. Per questo motivo, per ogni paziente che deve sottoporsi a terapie chirurgiche o conservative, ortopediche o traumatologiche, viene valutato il rischio tromboembolico al momento del ricovero seguendo le raccomandazioni delle istituzioni sanitarie italiane come:
- SIAPAV (SIAPAV, SISET, SIDV-GIUV, CIF. Linee guida per la diagnosi ed il trattamento della trombosi venosa profonda. Minerva Cardioangiol 2000;48:197-275);
- FADOI, Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti della Toscana e della Campania (Fontanella A. Stratificazione del rischio e profilassi nel paziente medico. In: Disease management del tromboembolismo venoso: nuovi aspetti di profilassi, diagnosi e terapia. Italian Journal of Medicine 2008;2:S15-20);.
- SISET (Ageno W, et al. Italian Society for Haemostasis and Thrombosis. Prevention of venous thromboembolism in immobilized neurological patients: guidelines of the Italian Society for Haemostasis and Thrombosis (SISET). Thromb Res 2009;124:e26-31);
- CEVEAS di Modena (CEVEAS- Centro per la valutazione dell’efficacia dell’assistenza sanitaria CEVEAS. Prevenzione del tromboembolismo (TEV) in pazienti non chirurgici (2009).
Tutti i concetti riportati all’interno di questi documenti sono stati sintetizzati e strutturati in un metodo operativo all’interno delle Linee guida per la profilassi del tromboembolismo venoso nei pazienti ospedalizzati del Consiglio Regionale della Regione Toscana.7
Secondo quanto riportato nelle Linee guida, i fattori di rischio che possono far insorgere la tromboembolia sono variegati e sono stati suddivisi in due categorie: i fattori di basso-medio rischio e i fattori di rischio di alto grado.
All’interno dei fattori di rischio di grado medio-basso troviamo:
- età superiore ai 40 anni;
- storia personale di tromboembolie venose;
- obesità (IMC>30);
- uso della pillola contraccettiva o terapia ormonale sostitutiva in caso di menopausa;
- insufficienza venosa cronica;
- presenza di vene varicose;
- malattia infiammatoria intestinale cronica;
- insufficienza respiratoria;
- infarto miocardico acuto;
- trauma o operazione chirurgica recente (< 1 mese);
- sindrome nefrosica;
- malattia infettiva acuta.
Nei fattori di rischio di alto grado, invece, troviamo:
- presenza di tromboembolia congenita;
- sindrome da anticorpi antifosfolipidi;
- emiplegia o paraplegia da danno neurologico;
- cancro in fase attiva;
- sindrome mieloproliferativa;
- chemioterapia o radioterapia;
- insufficienza respiratoria con ventilazione non invasiva;
- scompenso cardiaco;
- sepsi;
- gravidanza o puerperio.8
La profilassi antitromboembolica inizia con una valutazione dei fattori di rischio del singolo paziente da parte del personale ospedaliero al momento del ricovero per mezzo di una scheda che riporta tutti i fattori sopracitati. A questa prima valutazione vengono poi aggiunti altri valori derivanti dalla diagnosi, ovvero dal motivo che ha reso necessario l’intervento medico, e dal tipo di trattamento da effettuarsi.
La valutazione del rischio tromboembolico deriva quindi dalla somma dei fattori di rischio legati al paziente e dai rischi attribuibili al tipo di intervento a cui verrà sottoposto. Ad esempio se nel post-operatorio è previsto un periodo di immobilità maggiore di 3 giorni il rischio di tromboembolia sarà più elevato rispetto a un intervento che prevede l’immediata mobilizzazione.9
Diagnosi e prevenzione
Per avere una diagnosi accurata è necessario sottoporsi ad alcuni approfondimenti clinici come esami ematobiochimici. Per valutare il funzionamento di vene e arterie può essere necessario un ecocardiocolordoppler e una angioTC. Infine è possibile che sia necessario un ecocolordoppler per una valutazione clinica degli arti inferiori. Una volta valutato lo stato di salute del sistema circolatorio, il medico può prescrivere dei mezzi ortesici e/o una terapia farmacologica.
Tra i mezzi meccanici che possono prevenire l’insorgenza di tromboembolia troviamo le calze elastiche a compressione graduata. L’utilizzo di tali supporti deve essere prescritto dal medico e, se necessario, inizia in fase pre operatoria fino al recupero di una buona deambulazione autonoma. Per avere un reale beneficio dall’utilizzo di queste calze è necessario scegliere un modello della misura adeguata, indossarle con cura evitando “l’effetto laccio” e seguendo il giusto verso. Inoltre è possibile togliere le calze per non più di 30 minuti al giorno.
Un altro mezzo ortesico per la prevenzione antitromboembolica è la CPI, compressione pneumatica intermittente. In pratica si tratta di un manicotto gonfiabile che mobilita ritmicamente i muscoli del polpaccio e della coscia. Anche in questo caso l’utilizzo della CPI inizia prima dell’intervento e termina una volta ripresa la normale deambulazione.10
Le terapie farmacologiche prevedono l’utilizzo di farmaci a base di eparina. L’eparina è una sostanza in grado di mantenere il sangue fluido, serve per prevenire la formazione di coaguli sanguigni e viene definita con il termine anticoagulante. L’eparina viene somministrata a pazienti con problemi cardiaci, ai pazienti in dialisi e ai pazienti che si sottopongono a un intervento chirurgico.
L’eparina, come riportato nella scheda dell’Agenzia Italiana del Farmaco, viene classificata in base al suo peso molecolare ovvero in base alla grandezza della molecola. Le tipologie di eparina si caratterizzano a seconda dei loro parametri farmaco medici e per il meccanismo d’azione. In linea generale possiamo dire che sono suddivise in due gruppi:
- eparine non frazionate (standard). Questo tipo di eparina viene somministrata attraverso un’iniezione intravenosa diretta o a goccia e il suo effetto viene monitorato attentamente dopo la somministrazione.
- eparine frazionate (a basso peso molecolare). Questo tipo di eparine non richiedono uno stretto monitoraggio e la somministrazione avviene sottocute.11
L’eparina frazionata è comunemente prescritta dopo un intervento chirurgico, è opportuno iniziarla prima delle dimissioni e mantere il trattamento per un periodo congruo in base al tipo di intervento subito. Il paziente, infatti, prosegue la terapia a casa somministrando l’eparina in modo autonomo per mezzo di piccole iniezioni.
L’idea inizialmente può spaventare, in realtà è un procedimento molto semplice. Le siringhe sono precaricate e assomigliano a delle penne. Cliccando su un bottone si “sblocca” l’ago, di dimensioni molto piccole, ed è possibile iniettare il composto a base di eparina premendo di nuovo il bottone.
In genere il paziente deve farsi le iniezioni o sul braccio o sulla pancia a seconda delle indicazioni del medico. Il procedimento non è doloroso e viene accuratamente illustrato dal personale sanitario prima delle dimissioni.12
Note
- “La prevenzione del tromboembolismo venoso in chirurgia ortopedica sostitutiva dell’anca e del ginocchio”, Banca dati comparativa tra le Linee Guida e raccomandazioni per la pratica clinica, GIOT, 2011;37:162-182, pag.163
- Ivi
- “Trombo”, Dizionario di Medicina, Treccani, 2010
- “Embolia”, Enciclopedia Treccani, 2010
- “Tromboembolismo venoso”, Dizionario di medicina, Treccani, 2010
- Donelli, F.M., Gabbrielli M., Consonni, O., D’Amico, S., Zottola, V., “La responsabilità professionale nella profilassi antitromboembolica delle fratture dell’arto superiore: case report”, GIOT, 2016;42:434-439, pag. 169
- Donelli, F.M., Gabbrielli, M., Villa, T., “La responsabilità professionale nella profilassi antitromboembolica nell’arto inferiore: case report. Considerazioni anche alla luce della legge Gelli/Bianco n. 24 2017”, GIOT, 2017;43:166-170
- Donelli, F.M., Gabbrielli M., Consonni, O., D’Amico, S., Zottola, V., “La responsabilità professionale nella profilassi antitromboembolica delle fratture dell’arto superiore: case report”, GIOT, 2016;42:434-439
- Donelli, F.M., Gabbrielli, M., Villa, T., “La responsabilità professionale nella profilassi antitromboembolica nell’arto inferiore: case report. Considerazioni anche alla luce della legge Gelli/Bianco n. 24 2017”, GIOT, 2017;43:166-170
- “Linee guida per la profilassi del tromboembolismo venoso nei pazienti ospedalizzati”. Consiglio Sanitario Regionale, Regione Toscana, 2015, pag. 20-25
- “Che cos’è l’eparina?”Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA)
- “Linee guida per la profilassi del tromboembolismo venoso nei pazienti ospedalizzati”. Consiglio Sanitario Regionale, Regione Toscana, 2015, pag. 32